top of page

STORIA DEL DIRITTO 

L'AVVOCATO NICOLA COVIELLO
STORIA DI UN LUMINARE DEL DIRITTO ITALIANO
1867 TOLVE
Nacque a Tolve in provincia di Potenza il 2 nov. 1867 da Domenico e da Rosa Maria Summa. Dopo aver compiuto gli studi secondari nel paese natale, fu indirizzato agli studi giuridici dal padre, Domenico, consigliere di Corte di appello. Il padre fu pretore molto stimato dai colleghi e dagli avvocati, per rettitudine e rigorosa applicazione della giustizia e spesso dovette cambiare residenza per gli incarichi affidatigli. Don Domenico curò l’educazione dei suoi due figli, Nicola e Leonardo, e ne fu loro maestro nelle classi ginnasiali, essendo, per il suo lavoro, costretto a vivere in paesi privi di scuole. Divise la sua vita tra l'amministrazione della giustizia e l’istruzione dei suoi figli. La vita di Nicola Coviello è una serie continua di duri sacrifici e di nobili aspirazioni, coronate dal più ampio successo. 
 
 
1882 NAPOLI
 
Egli visse continuamente a contatto con l'inseparabile fratello Leonardo, un altro insigne campione della scienza civilistica italiana, fin dall'avvio degli studi universitari, quando entrambi si trasferirono a Napoli. Lontani dalla famiglia e in una grande città, i due fratelli sperimentarono a lungo la solitudine, i duri sacrifici per lo studio, nonché le privazioni di ogni divertimento, a causa del misero stipendio del padre, che a stento riusciva a far fronte al loro mantenimento. Nicola, giovane umile, conobbe presto le ansie del suo avvenire, che allora si presentava difficile e incerto.

1888 LAUREA


Nicola si laureò a Napoli nel 1888 presso la Facoltà di Giurisprudenza Federico II,  a cui oggi è dedicata un'aula in suo onore. Discusse una tesi sulle Servitù irregolari, poi pubblicata in quello stesso anno sull'Archivio giuridico. Entrato giovanissimo in magistratura, più per assecondare le aspirazioni paterne che per intimo convincimento, ben presto si dimise per intraprendere la carriera accademica. La sua conoscenza con E. Gianturco, che in quegli anni insegnava come libero docente nella facoltà giuridica napoletana e del quale divenne fedele discepolo, influì in maniera determinante su di lui, portando alla luce la sua predilezione per gli elementi teorici e storici del diritto. Ben presto si avviò alla professione forense; infatti grazie alle sue attitudini e alle conoscenze delle materie giuridiche, risultò primo classificato al pubblico concorso di "Uditore" presso il Tribunale di Napoli. 
1892 INSEGNAMENTO
 
La passione per l'insegnamento ebbe in lui subito il sopravvento e dopo soli tre mesi di impiego, presso gli uffici di Cassazione di Napoli, Coviello presentò le sue dimissioni tra lo stupore generale, specie di chi ebbe modo di stimarlo subito. Raccolse però il plauso dell'avv. Raffaele La Volpe, allora presidente della Corte Suprema, uno degli ultimi "fari" superstiti della storica magistratura napoletana, il quale si compiacque per la sua saggia e precoce decisione, di assurgere alla nobile missione dell'insegnamento. Quando uscì dalla Magistratura, Nicola Coviello aveva appena 23 anni e subito presentò istanza per la libera docenza in Diritto Civile nella Regia Università di Napoli. La Commissione esaminatrice, presieduta dal grande Enrico Pessina, era composta da Giuseppe Mirabelli, Emanuele Gianturco, Pasquale Fiore e Alessandro Guarracino. Tema della lezione di esame era le "Azioni di Stato". Al termine della sua appassionata ed eloquente esposizione, raccolse gli applausi fragorosi, sia dei membri della Commissione (cosa rara allora) e sia del folto uditorio, che si era spontaneamente raccolto nella sala, in gran parte composto da studenti ed insegnanti. Così a Nicola Coviello si aprirono le porte dell’insegnamento, che insieme alla ricerca accademica, alle numerose pubblicazioni giuridiche e alla famiglia, costituirono l'unico scopo della sua vita. Nel 1892, a soli 25 anni, conseguì la libera docenza in diritto civile, tenendo, dinanzi alla commissione presieduta da E. Pessina e composta dal presidente della Corte di cassazione di Napoli G. Mirabelli e dai professori E. Gianturco, P. Fiore e A. Guarracino, una brillante lezione sul diritto di superficie, pubblicata poi, con il titolo Della superficie considerata anche in rapporto al suolo e al sottosuolo, nell'Archivio giuridico, XLIX (1892), pp. 3-195Cominciò così con l'insegnamento libero presso l'università di Napoli; dopo due anni passò come incaricato di istituzioni di diritto privato presso la facoltà di giurisprudenza di Urbino;
 
 
1896 CATANIA
Nel 1896 ottenne la cattedra di diritto civile presso la facoltà di giurisprudenza dell'università di Catania, cattedra che tenne - insegnando occasionalmente anche altre discipline, quali il diritto ecclesiastico e il diritto canonico.Nel 1896, col grado di Ordinario di Diritto Civile passò all'Università di Catania, dove rimase molti anni a insegnare, pur rifiutando la cattedra offerta dall'Università di Pisa, di Diritto Ecclesiastico e, ancora, la cattedra di Diritto Civile, offerta dall’Università di Pavia.

Già nel corso del 1896 aveva pubblicato sulla rivista Studi napolitani, Periodico universitario forense, II (1895, pp. 111-145, un interessante saggio sull'Equità nei contratti, dove aveva sostenuto, ispirandosi a principî evangelici, che la mancanza di equità specialmente nei contratti di lavoro "è una delle fonti principali, se non l'unica, della disuguaglianza sociale e della lotta di classe".Egli, pur senza giungere a denunciare l'eguaglianza soltanto formale e non reale nei rapporti di lavoro, in quanto la proprietà di cui disponeva il lavoratore non era altro che uno stato di necessità, non mancò di osservare che la libertà contrattuale "senza eguaglianza significa libertà di uno solo o di più, e libertà di uno solo è tirannia da una parte, schiavitù dall'altra".

Con la prolusione catanese del 1897 su la Responsabilità senza colpa, in Riv. it. per le sc. giuridiche, XXIII (1897), pp. 188-218, il C. perveniva alla formulazione di un sistema dogmatico che da un lato avvertiva l'insufficienza degli schemi logici offerti in argomento dal Codice civile del 1865 e dall'altro rifiutava la "vieta teorica dell'inversione dell'onere della prova", proposta dalla corrente del socialismo giuridico.In quegli anni, infatti, mentre la civilistica italiana più tradizionale si manteneva ancora legata agli schemi anticoncettualistici e all'indirizzo esegetico proprio della scuola francese, alcuni giuristi particolarmente attenti alla realtà sociale del paese e alle sue nuove evidenti e dilaceranti contraddizioni sostennero la necessità di una legislazione sociale fortemente progressista in grado di regolare anche i rapporti fra industriali e "classi lavoratrici".Al dibattito aperto in quel periodo intorno al Codice civile il C. offrì - come già il Gianturco - una soluzione di compromesso che accoglieva le "moderne idee sociali innovatrici della scienza giuridica" al fine di ristabilire l'"armonia del diritto". Egli indicò, in effetti, la necessità di nuovi principî generali del diritto privato fondati su una visione matura dei compiti dello Stato, quale mediatore nell'economia e fra le classi sociali.Affrontando il tema della responsabilità degli imprenditori per gli infortuni sul lavoro, invitò appunto a "valicare gli angusti confini della colpa per trovare il rimedio che con tant'ansia si cerca" sulla nuova "teoria del rischio industriale", secondo cui "l'imprenditore come gode i vantaggi della propria industria, così ne sopporta le conseguenze dannose". Senza aderire, dunque, a quelli che definiva i "sistemi socialisti", si spinse con slancio solidaristico verso una soluzione teorica capace di conciliare il diritto civile col nascente diritto del lavoro.Esclusivamente influenzato dalla pandettistica tedesca appare, invece, il lavoro pubblicato l'anno precedente e intitolato La successione nei debiti a titolo particolare (Bologna 1896). In quest'opera nulla venne concesso alla considerazione antindividualistica della realtà sociale ed alle valutazioni umanitarie. Sotto l'influsso degli studi romanistici e della sola letteratura tedesca egli si mosse, con stringente sistematicità, verso la costruzione meramente formalistica dell'istituto.Tale indirizzo metodologico venne abbandonato nei 2 volumi dedicati alla Trascrizione ed editi a Napoli tra il 1897 e il 1898. In quest'opera, che affrontava un tema "connesso ad uno dei fondamentali problemi dell'economia nazionale" (Ascoli) e strettamente legato al vigente regime della proprietà immobiliare, egli non ritenne di "discutere della giustificazione del diritto di proprietà" ma intese occuparsi solo del "diritto positivo e vigente" non già di quello "filosofico ed astratto".In questo lavoro, pubblicato a distanza di appena due anni da quello sulla Successione nei debiti a titolo particolare, è evidente il recupero della letteratura esegetica francese utilizzata anche nei capitoli dedicati ai cenni storici ed ai principî generali nonché l'attento e minuzioso esame "di tutte le questioni analitiche che s'incontrano nell'applicazione delle disposizioni positive di legge".

BUSTO DI NICOLA COVIELLO.jpg

Busto di Nicola Coviello

Facoltà di Giurisprudenza

Catania (Villa Cerami)

Atrio

Facoltà di Giurisprudenza

Catania (Villa Cerami)

Facoltà di giurisprudenza Catania.jpg

Ingresso Principale

Facoltà di Giurisprudenza

Catania (Villa Cerami)

1909

Per questo particolare carattere la monografia sulla trascrizione fu molto apprezzata anche dai pratici, i quali - come scrisse Carnelutti- "con fiducia e con fortuna" si affidarono all'opera del C. per cercare "il filo per orientarsi nel labirinto di una controversia particolare".
L'attività scientifica del C. nei primi anni del XX secolo fu tutta rivolta a problemi di diritto ecclesiastico e di diritto canonico. È del 1901 lo scritto sulla Chiesa cattolica e le disposizioni testamentarie in suo favore apparso in un volume per le nozze del prof. Vadalà Papale e pubblicato con qualche aggiunta nella Giurisprudenza italiana dello stesso anno (parte IV, pp. 327-337); del 1904 La massa comune dei capitoli cattedrali e del 1906 La conversione della rendita rispetto agli enti ecclesiastici, entrambi pubblicati sulla Rivista di diritto eccles. (XII, [1904], pp. 385-448 e XVI [1906], pp. 567-578); del 1909 l'articolo Dei modi per rendere efficace la costituzione di patrimonio sacro stampato sugli Studi in onore di F. Ciccaglione, Catania 1909, 11, 2, pp. 46-62; infine del 1910 L'impotenza relativa come causa d'annullamento al matrimonio edito sulla Rivista di diritto civile (II [1910], pp. 1-15). Appartengono a questo periodo anche i due volumi del 1910 Manuale di diritto ecclesiastico, pubblicato postumo a cura di Vincenzo Del Giudice (Roma 1915-16). 


 
1913 MORTE 

Nelle opere e negli scritti di Nicola Coviello traspaiono non solo la profondità di cultura e di conoscenza scientifica nella materia trattata, ma soprattutto la sua umanità e la sua profondità d'animo. Era infatti persuaso che per essere un buon giurista abbisognava essere anzitutto un uomo, nel più nobile senso della parola...!

Nicola Coviello fu un lodevole esempio di giurista illuminato, di persona integerrima e anche di uomo profondamente attaccato alla famiglia e al suo credo religioso.

Disposto all’indulgenza verso gli altri, pur essendo rigido verso sé stesso, aveva un carattere umile e non fece mai pesare l’autorità della sua scienza e del suo intelletto su quanti lo conobbero. Non tollerò mai, né ricorse ad alcuno dei mezzi o sotterfugi, da molti praticati anche al suo tempo, per acquistare facilmente la notorietà, conscio come era che la vera gloria doveva derivargli unicamente dal valore delle sue opere.

Quanti lo conobbero ebbero a testimoniare la sua perenne bontà verso tutti, che non si appannava nemmeno per le sofferenze che gli causavano il suo male. Un male che da prestissimo minò la sua giovane e preziosa esistenza. Durante le sue affollate lezioni universitarie, abbandonava l'aspetto dolente e, come si trasfigurasse, il suo volto s'illuminava per l’impeto e la passione che destava nel suo spirito l'argomento della lezione trattata e la conseguente dimostrazione dommatica. 

Portò avanti la sua missione d'insegnante e il suo dovere d’accademico fino all'ultimo momento, fino alla fine dei suoi giorni, anche quando la malferma salute gli avrebbe imposto di non uscire di casa. Non mancò a nessuna lezione dell'ultimo corso tenuto all'Università. Come pure non mancò l'affetto per la sua famiglia, per i figli e per la sua amata compagna.

La mattina dell' 1 agosto 1913, forse presagendo la sua imminente fine, scrisse un’accorata lettera alla sua amata moglie, che si trovava in quel momento con i figli a Benevento, dettandole le sue ultime volontà e l’indirizzo da dare ai figli. Nel pomeriggio, poi, si chiuse nello studio della sua residenza cittadina, a San Rocco (sobborgo di Piscinola), per recitare le preghiere in suffragio del padre, del quale ricorreva in quel giorno l’anniversario della scomparsa. Verso sera, il fratello Leonardo, che si recò a salutarlo, lo trovò moribondo, col libro aperto all’ultima pagina della preghiera. Aveva solo 46 anni.

Così è morto Nicola Coviello, in maniera semplice, come aveva trascorso la sua breve vita; modesto oltre misura, uomo buono e grande, fino alla genialità. Ebbe funerali modesti, come aveva lasciato scritto. Solo un breve annuncio della famiglia, apparso su un giornale del mattino, ne avvisò la scomparsa. Le maggiori riviste italiane ne dedicarono l’elogio funebre, i maggiori accademici dell'epoca avvertirono la sua perdita, come un profondo lutto per la scienza giuridica italiana. Le uniche attestazioni civiche date a questo importante personaggio sono state quelle del Comune di Avigliano, ove visse nella sua fanciullezza, che volle a lui intestata una strada del posto e quelle dell'Università di Catania, che volle far realizzare un busto marmoreo in suo ricordo, ancora oggi visibile nei locali dell'ateneo; mentre i Comuni di Roma e di Catania gli hanno dedicato delle strade comunali.

Nicola Coviello fu sepolto nel cimitero comunale di Miano, La sua modesta tomba, che difficilmente un visitatore oggi riesce a scorgere, si trova abbandonata in un "anfratto" laterale al vialetto centrale del piccolo cimitero periferico, dove un'ampia e semplice lastra di marmo, appoggiata su in basamento alto poco meno di mezzo metro, reca sopra impresso il suo nome, a seguire, la data della nascita e della morte e un piccolo cenno alla sua personalità.




1932 LEONARDO COVIELLO

IL MANUALE DI DIRITTO CIVILE ITALIANO
Quest'opera, che espone i principî della successione legittima e di quella testamentaria, fu ristampata dal fratello Leonardo una terza volta nel 1932 a Napoli. In quest'ultima edizione però, anche se la vasta trama della trattazione è ancora quella delle lezioni, l'intervento di Leonardo modifica l'originaria prospettiva didattica e tende a offrire un quadro generale più adatto alla discussione scientifica e più aderente agli apporti giurisprudenziali.

Non risentono invece del contributo del fratello le riedizioni - di cui l'ultima nel 1929 - del Manuale di diritto civile italiano, Parte generale, pubblicato per la prima volta nel 1910. Qui l'aspetto didattico - già nell'edizione originaria - non è affatto prevalente. Invero il C. si allontana sin dalle prime pagine dallo schema segnato dal codice per ricercare una formulazione teorica che consenta di ricostruire in maniera sistematica la complessa materia.
Il Manuale è senz'altro l'opera più matura del Coviello. "Esempio per molte parti nuovo ed eccellente" (Carnelutti), che non solo veniva a colmare un vuoto della civilistica italiana del tempo, in quanto sino ad allora nei corsi istituzionali più che altro ci si limitava al commento delle singole disposizioni del codice, ma rivelava anche la notevole duttilità intellettuale del suo autore, la sua capacità di ordinare, chiarire, filtrare i risultati dell'elaborazione anteriore, con "mente non ingombra da erudizione mal digerita né annebbiata da troppo facili entusiasmi per tutto ciò che ha marca straniera" (Ascoli).
Nel Manuale egli evitò la discussione dottrinale e cercò di esporre i principî generali con grande precisione di linguaggio e costante semplicità. Poco spazio è dedicato alla trattazione dell'origine storica dei vari istituti e all'indagine esegetica delle disposizioni del Codice civile del 1865. Il Mattuale, peraltro, non segue il sistema pandettistico di suddivisione della materia: in effetti, alla classica esposizione dei rapporti obbligatori e di successione il C. sostituì con originalità la trattazione del negozio giuridico e dei nodi teorici direttamente collegati al potere di disposizione dei soggetti privati.
Il Manuale, anche grazie alla longevità editoriale assicuratogli dal fratello Leonardo, assegnò al C. una posizione di primo piano nel pensiero giuridico della prima metà del Novecento.
Il C. morì a Napoli il 1º ag. 1913.

 
bottom of page